La storia

La storia di questa chiesa parte qualche secolo prima del 1000 per arrivare attraverso alterne e complesse vicende fino ai nostri tempi.
Nel 900 d.C. esisteva già una chiesa dedicata al Battista, forse di origine longobarda. San Giovanni Battista, infatti, è uno dei santi a cui i longobardi si affidavano e a cui molte delle loro chiese sono state dedicate. Nel 1100, in epoca matildica, la chiesa fu sostituita da un’elegante costruzione romanica che si inseriva nello stile e nella cultura tipica di questa terra. Era situata nel mezzo di quella che è ora la Piazza del Popolo con la facciata situata a pochi metri di distanza dall’odierno palazzo comunale.

Alla fine del 1600 la chiesa fu ritenuta ormai irrecuperabile, anche perché erano notevolmente cambiati i gusti e i riferimenti estetici. Si decise di abbattere la veneranda costruzione che aveva accolto per almeno cinque secoli la comunità cristiana e si intraprese la costruzione che oggi vediamo, arretrata rispetto alla precedente così da lasciare spazio per una vasta piazza sulla quale cominciarono ad affacciarsi edifici di varia importanza. La nuova collegiata fu iniziata nel 1671, su progetto dell’architetto bolognese Paolo Maria Canali, mentre ai fratelli Borrelli vennero affidate le decorazioni a stucco.

 

La facciata

La chiesa fu consacrata il 17 maggio 1739 dal Cardinale Prospero Lambertini (il quale l’anno successivo diventerà Papa con il nome di Benedetto XIV). La Collegiata persicetana, già finita, decorata e consacrata, mancava tuttavia di un elemento caratterizzante: la facciata. L’occasione per realizzarla si presentò nel 1828, quando il Papa Gregorio XVI elevò al grado di “Città” il paese di San Giovanni.
Per ricordare l’evento si decise quindi di erigere la facciata della Collegiata secondo lo stile neo-classico imperante in quel tempo, affidando i  lavori all’ingegner Luigi Gamberini e all’architetto Leandro Marconi.

L’Arciprete Don Sacchetti “a sue spese” fece poi plasmare dallo scultore Bernardino Bernardi un basso rilievo nel timpano che rappresenta il trionfo della Religione (attraverso la raffigurazione di tre figure simboliche, probabilmente le tre virtù teologali) in evidente polemica con le tendenze anticlericali che circolavano. Dello stesso scultore sono le statue dei quattro evangelisti (San Marco con il leone, San Luca con il vitello, San Matteo con l’angelo e San Giovanni con l’aquila) che furono collocate nelle nicchie della facciata. Il 12 agosto 1857 Papa Pio IX fu accolto nella Collegiata finalmente ultimata con la monumentale facciata che oggi, in seguito a completo restauro, ha ritrovato lo smalto delle sue origini. Sul finire dell’ottocento il decoratore Giovanni Battista Baldi completò anche le decorazioni pittoriche interne.

 

L’interno

La chiesa è a croce latina e si presenta ad unica navata con cappelle laterali. Entrando, sulla sinistra della navata, sopra l’altare della prima cappella si può ammirare un pregevole dipinto del Guercino (1591-1666): Sant’Antonio da Padova con il Bambino Gesù; nella stessa cappella è situata la cosiddetta Madonna del Popolo (un affresco del XV secolo). Nella cappella successiva, sopra all’altare, si trova la tela rappresentante Sant’Anna, la Vergine bambina e San Gioacchino del pittore persicetano Ubaldo Gandolfi (1728-1781), mentre la terza cappella ospita un crocifisso in legno d’ulivo policromato del secolo XVI.

Sopra l’altare del transetto di sinistra è collocata la Presentazione di Gesù al clero, opera di Ercole Graziani (1688-1765). Sul fondo della parete absidale trova posto la Decollazione di San Giovanni Battista di Alessandro Guardassoni (1819-1888). Davanti al coro scolpito nel XVIII secolo, è situata la vasca battesimale in marmo rosso di Verona (1450), la cui copertura è sormontata da una statuetta in legno dorato raffigurante San Giovanni Battista (sec. XVIII).

Sempre nel vano absidale si trovano due statue di Giuseppe Borrelli raffiguranti San Pietro e San Paolo. Sull’altare del transetto di destra è invece posto il famoso quadro di Francesco Albani (1578-1660) che raffigura i Ss. Rocco e Sebastiano in adorazione della Vergine (la cosiddetta Pala della Partecipanza), ex voto della peste del 1630. Lungo i bracci del transetto si trovano otto pregevoli bassorilievi in terracotta dell’artista bolognese Angelo Gabriello Piò (1690-1769). Volgendo le spalle al presbiterio, nella prima cappella sulla sinistra della navata si può ammirare una statua in terracotta policromata raffigurante la Madonna del Rosario. Sempre di Piò, nella cappella successiva si trova la statua della Madonna del Carmine col Bambino. Alla sinistra della chiesa si trova la canonica, databile tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, e recentemente restaurata.

 

Il “Sant’Antonio da Padova” del Guercino

Si tratta di una pala eseguita tra il 1649 e il 1651 raffigurante Sant’Antonio di Padova inginocchiato davanti al Bambino. L’opera fu realizzata su commissione di Carlo Imbiani e della consorte Anna Maria Giamboni, dei quali si scorge ancora lo stemma su uno dei piedi del tavolo dipinto al centro, ed era destinata alla chiesa di San Matteo, annessa al locale convento dei frati Cappuccini. A fare da intermediario tra i committenti e Guercino fu il dottor Sacente, medico dell’artista, ed è il Libro dei conti del maestro centese a riportare la notizia dell’incarico in maniera dettagliata, confermata anche da Paolo Antonio Masini e da Carlo Cesare Malvasia. Nella sua semplicità la tela persicetana testimonia una capacità di sintesi e di abilità tecnica proprie del Guercino maturo: il santo che veste il saio marrone appare umilmente inginocchiato davanti al Bambin Gesù che gli si manifesta davanti, seduto sul libro di preghiere adagiato sopra il tavolo. La relazione empatica che si stabilisce tra le due figure, concretizzata dai gesti loquaci, la calda luce divina e gli angeli sovrastanti che introducono il mistero divino, non hanno bisogno di particolari chiavi di lettura: la scena si presenta in maniera chiara e comprensibile a tutti, come del resto imponevano le regole della Controriforma. A Paolo Antonio Barbieri la critica attribuisce i gigli, dipinti poco prima della morte. È probabile, come farebbero intuire certi appunti passati nelle mani del Malvasia, che nel progetto originale dovesse comparire anche la Madonna, ma questo avrebbe fatto lievitare il prezzo della prestazione e gli Imbiani, seppur benestanti, non potevano permetterselo. La tela venne consegnata alla chiesa di San Matteo nel 1652, ove rimase fino alla sua chiusura in età napoleonica. Nel 1839 sappiamo si trovava a Bologna, nello studio del pittore Angelo Lamma ed era destinata alla vendita, ma ciò non ebbe seguito e la tela ritornò a Persiceto.

La torre civica

Tra il 1296 e il 1298 venne costruita una torre a base quadrata con scopo di avvistamento e di difesa. Della sua esistenza ne troviamo per la prima volta descrizione in un documento del 1305. La Torre, già negli estimi (denunce catastali) del 1315 e  del 1385, era dichiarata proprietà comunale. Agli inizi del XV secolo la comunità cedette alle lusinghe di Nicolò d’Este, ma quando nel 1417, dopo sedici anni di ribellione, venne ristabilita la dipendenza da Bologna, la città fu punita con l’abbassamento della torre.

Sul principio del XVI secolo il fabbricato subì una profonda incrinatura superiore, forse in seguito alla caduta di un fulmine oppure in conseguenza del terremoto del 1505. Dopo vari restauri, nel 1626 la Torre venne fornita di balaustrata e cupola. Nel 1644 si provvide al suo innalzamento di circa 11 metri con la conseguente ricostruzione della copertura.

Nel centro di San Giovanni in Persiceto, punto nevralgico della vita comunitaria da oltre un millennio, sono accostate tra loro Torre Civica e Chiesa, tanto vicine da formare quasi un solo ed inscindibile edificio. Col tempo essa ha però cambiato la sua originale funzione, pur restando di proprietà del comune, tanto da diventare un vero e proprio campanile, su cui trova posto l’orologio meccanico e alla sommità un quarto di campane. Recentemente restaurata, la Torre con i suoi 48 metri di altezza si stacca notevolmente dal panorama circostante, diventando un vero e proprio simbolo del paese, visibile già da molti chilometri di distanza.